Da qualche mese sono abbastanza in fissa con questa cantautrice californiana che si chiama Weyes Blood (che in inglese suona come il titolo del primo romanzo di Flannery O’Connor, “Wise Blood”). In effetti Weyes Blood è veramente un nome figo per chi fa la musicista di professione, ed infatti è il nome d’arte di Nathalie Mering, classe 1988, nata a Santa Monica, California.

L’artista

L’ho scoperta guardando qualche video del Glastonbury Festival di quest’anno e devo dire che mi sono domandato più volte durante l’esibizione perché non ne conoscessi l’esistenza fino a quel momento.

Weyes Blood al Glastonbury Festival nel 2023 (BBC)


Anche perché, documentandomi su internet, ho scoperto che sia negli USA che in UK è abbastanza nota da tempo e infatti, nel momento in cui sto scrivendo questo post è uscito da qualche mese il suo quinto album And in the Darkness, Hearts Aglow. Tuttavia, prima di ascoltare l’ultimo album, mi sono dedicato a quello precedente, che contiene la canzone del video di Glastonbury che ho allegato qualche paragrafo fa, “Andromeda”.

Il disco si chiama Titanic Rising, è uscito nel 2019 per la storica etichetta di Seattle Sub Pop Records e in questo post proverò a descrivere cosa ci ho sentito e cosa mi ha trasmesso questo piccolo capolavoro pop degli ultimi anni.

Prima di essere Weyes Blood la Mering ha fatto parte nella prima decina del 2000 di un gruppo sperimentale chiamato Jackie-O Motherfucker. Una sorta di collettivo di musicisti formatosi attorno alle figure del polistrumentista Tom Greenwood e del sassofonista Nester Bucket a Portland, in Oregon, alla fine degli anni ‘90.

I Jackie-O Motherfucker nel 2009


Ancora oggi questa band spazia tra free jazz, rock psichedelico e noise rock, il genere di performance che ci si aspetta di vedere ai loro concerti è ben rappresentata qui. In quasi 30 anni di attività i Jackie-O hanno visto passare tra le loro fila una quarantina di musicisti. Proprio in questo ambiente la giovane Nathalie Mering ha modo di sperimentare e formare il proprio gusto sonoro e di arrangiamento. Probabilmente proprio in questi anni inizia a nascere in lei l’idea di ricercare un suono caratteristico della propria musica, un ambiente musicale da plasmare a propria immagine a somiglianza. Dopo un primo periodo in California si trasferisce nella costa orientale, vivendo in una comune di artisti creata all’interno di un magazzino dismesso a nord di Baltimora, chiamato Tarantula Hill.

Tarantula Hill a Baltimora, Maryland


Il collettivo si era dotato di una stanza dove fare musica, un laboratorio di pittura, aveva realizzato una biblioteca ed una cineteca e si era perfino procurato una vasca di deprivazione sensoriale. Tuttavia non aveva un riscaldamento centralizzato e nonostante i falò di gruppo e le borse di acqua calda cucite in sacche interne dei maglioni, l’inverno rigido del Maryland mette a dura prova l’animo di ogni artista. Nonostante ciò, Nathalie assorbe ogni spunto vibrante che gli arriva da quel coacervo di arti, si appassiona alla poesia e al cinema, amando alla follia Stanley Kubrick, Ingrid Bergman, Alejandro Jodorowsky e Philip Lamantia. Nel 2011 pubblica il suo primo album The Outside Room (Not Not Fun Records) e dopo 3 anni arriva il secondo The Innocents (Mexican Summer). Tra la due uscite Nathalie si sposta a New York dove, nonostante il talento e la caparbietà, fa fatica ad emergere. La nostra è una voce solista, sperimentale, donna, in un mondo musicale dominato in quegli anni da grandi band indie-rock: Phoenix, Arctic Monkeys, Strokes, Arcade Fire, per fare qualche nome. Nonostante le composizioni di Weyes Blood siano cariche di suoni, travolgenti, rumorose e psichedeliche, sono tuttavia ancora acerbe e non convincono le case discografiche ed il pubblico. Il disco di svolta arriva nel 2016, si chiama Front Row Seat to Earth e viene inciso al rientro della nostra in California, a Los Angeles. In questo album Weyes Blood mette da parte l’home made rock ed il noise, le sonorità lo-fi date da registrazioni su impianti audio racimolati qua e là e spesso a rischio cortocircuiti e incendi (si ricorda il disastro del Ghost Ship del 2016). La sua voce e i suoi sentimenti (soprattutto delusioni amorose e la solitudine sofferta durante la permanenza a New York) diventano protagonisti indiscussi dell’ambiente musicale ricreato dalla Mering. Nonostante permanga lo stile nostalgico e pieno del baroque pop le composizioni si fanno più snelle e asciutte. Si noti il minimalismo in “Can’t go home”, eseguita quasi a cappella, senza alcuna accompagnamento strumentale. Con la voce di Karen Carpenter e lo stile folk-pop di Joni Mitchell e Kate Bush (fun fact: la Mitchell è stata per un breve periodo di tempo la fidanzata del padre di Nathalie, il cantante californiano Sunmer Mering) Weyes Blood riesce a creare un suono nuovo, così familiare eppure così lontano, le ballads lente e malinconiche che cullano tutto il disco instaurano un rapporto con la nostalgia complicato e conflittuale, destinato a non risolversi mai. Nathalie si ispira chiaramente alle grandi cantanti dell’epoca d’oro del folk americano e fa proprio quel genere, rendendolo attuale e futuristico. Una musica senza tempo, permeata di attualità e modernità.

Il disco

Eccoci dunque a Titanic Rising (2019), l’album della conferma e primo capitolo di una trilogia musicale e discografica. Qui la nostra si fa supportare dal produttore e musicista Jonathan Rado ed il salto di qualità è tangibile. La nostalgia è quindi un pretesto per cercare quello che non c’è (più) nel mondo di oggi, come in “A lot’s gonna change” o in “Something to believe”, dove il tema è piuttosto la mancanza di ideali e di idoli.

“Give me something I can see

Something bigger and louder than the voices in me

Something to believe”

La religione, la società e la famiglia, punti cardinali della società fino al secolo scorso, adesso hanno perso il loro ruolo ed il vuoto non è stato colmato da nulla se non dal relativismo nichilista che caratterizza il mondo in cui viviamo. Attenzione a non confondere Weyes Blood con una conservatrice repubblicana, che rimpiange l’america di un tempo, tutt’altro. Questo album sembra piuttosto tirare le somme sul tempo in cui viviamo, riconosce che quel vuoto non è mai stato colmato ed è rimasto vuoto. Chiede una speranza, non una società bigotta. In “Wild Time” il concetto si allarga, in un mondo in fiamme “It’s a wild time to be alive”, come dargli torto. I due interludi totalmente strumentali “Titanic Rising” e “Nearer to Thee”, che chiudono rispettivamente il lato A ed il lato B, sono il segno di quel tratto sperimentale che permane nell’arte di Weyes Blood e servono da sipario per i due atti dell’album. “Andromeda” è il primo singolo di questo disco e forse la vetta più alta dell’album e probabilmente anche della discografia della Mering. Qui si mescola mitologia, astronomia e natura umana. La perdita di coscienza, immersa nello spazio profondo o nell’oceano, come l’Andromeda figlia di Cassiopea, destinata alla morte ma poi salvata in extremis da Prometeo, che poi ne diventerà il marito. Come lei Weyes Blood sembra aspettare, senza speranze, un amore che possa dargli quello che fino ad ora non ha avuto.

I’m really turnin’ some time

Looking up to the sky for something I may never find

Le delusioni amorose inanellate da Weyes Blood passano anche attraverso la critica di un mondo affettivo veloce, caratterizzato dai “rodeo” di Tinder o delle altre app di dating in “Everyday” o attraverso amori di circostanza come in “Mirror Forever”

“No one’s ever gonna give you a trophy

For all the pain and the things you’ve been through”

Alla fine, davanti alla specchio, ti chiedi se ne valeva la pena. Non è così semplice darsi una risposta.

In “Movies” il tappeto elettronico dato dal synth fa da colonna sonora a quel film che è la vita di ognuno di noi, fatta di imprevisti e colpi di scena e che non sempre si risolvono come alla fine di ogni storia, in maniera logica e razionale:

“The meaning of life doesn’t seem to shine like that screen”

“Picture me Better” tocca la vetta di intimità in questo disco, parlando con estrema dolcezza e delicatezza di un episodio tragico che ha colpito la cantautrice proprio durante la registrazione del disco, il suicidio di un caro amico.

“Can’t help to smile with those eyes that shine on me If only you could see”

Una lettera toccante, un dialogo impossibile con chi decide di andarsene è la degna conclusione di un disco decisamente profondo e personale. Weyes Blood riesce a trasformare il proprio dolore, il proprio smarrimento, le proprie gioie (poche) in inni generazionali, in fenomeni musicali universali. Questo disco non può evidentemente parlare a tutti, ma ognuno di noi si ritroverà sicuramente in qualche brano e così potrà dare un suono a quell’emozione che sente dentro e che non sa spiegare a parole. Cosa fa la musica di solito se non questo? Nathalie Mering, come in un processo catartico, riversa i suoi dubbi, le sue incertezze e le sue esperienze personali, trasformando ogni album in un manifesto della sua arte.

“I love lyrics, I love folk music, but I do think there’s a lot of emotion in instrumental, melodic themes, and you can use them as your own canvas to paint feelings on.”

Nathalie Mering - The New Yorker, 31 ottobre 2022

Spotify